L’Italia ha (ancora) un serio problema con le droghe: intervista ad Angela Iantosca

Il Covid ha peggiorato la situazione, nuove paure si sono aggiunte e nuovi timori hanno iniziato a segnare la vita di migliaia di italiani. E così gli affari con la droga per la criminalità aumentano e, al contempo, in tanti cadono nella dipendenza dalle sostanze stupefacenti. Un problema che, assieme, è sia politico che sociale. Da nord a sud, è tutta Italia a dover fare, ancora una volta, i conti con lo spauracchio della droga. Ne abbiamo parlato con la giornalista Angela Iantosca, autrice di progetti e libri dedicati alla lotta contro la dipendenze.

  • In questi anni hai girato in lungo e in largo l’Italia presentando i tuoi libri e i tuoi lavori nelle scuole: che situazione hai riscontrato tra i giovani e quale sensibilità c’è in loro sul tema delle droghe? 

Ho girato molto sia con i miei progetti di prevenzione che con la comunità di San Patrignano con la quale collaboro dal 2018 al progetto WeFree (progetto di prevenzione che fa incontrare ogni anno alla comunità 50mila ragazzi delle scuole italiane). E non mi sono fermata neanche con la pandemia, rimodulando tutto online, cosa che mi ha permesso di continuare a mantenere un rapporto di continuità con i giovani. I ragazzi devo dire che sono molto interessati al tema che li tocca da vicino e parlare con loro di droghe e dipendenze permette di aprire dei dialoghi molto profondi su qualcosa che sembra apparentemente lontano dal tema trattato, ma che invece ne è strettamente connesso: la loro interiorità, le loro fragilità, il come stanno, cosa sentono, cosa desiderano e cosa si aspettano dagli adulti, genitori e docenti. E quello che ne viene fuori è un’interiorità dei giovanissimi, complessa, ma anche semplice, e sempre alla ricerca di una coerenza negli adulti che dialogano con loro. A volte i giovanissimi vengono definiti sulla base di stereotipi creati da noi adulti e molto lontani dalla realtà. Quello che mi viene da suggerire è di provare ad ascoltarli e permettere loro di esprimersi. E poi cerchiamo di essere più presenti in qualità, proviamo a fare un passo verso di loro, proviamo ad intercettare il loro linguaggio senza pretendere che il nostro sia migliore. Siamo diversi certamente e nell’incontro tra le nostre diversità possiamo trovare qualcosa di più bello e utile per loro e per noi. Detto questo, se fino a qualche anno fa pensavo fosse sufficiente fare prevenzione nelle scuole superiori, oggi penso sia necessario cominciare dalle scuole medie, perché l’età media di uso delle sostanze si è abbassata. Quello che noto è che hanno sempre più paura di affrontare il dolore, la sofferenza, le delusioni, ma anche la tensione che può provocare in loro un’interrogazione. Non di rado mi è capitato di sentirmi dire da studenti di terza media che prima di andare a scuola prendono una bevanda energizzante molto famosa per affrontare meglio la mattinata. Credo che sia un tema sul quale riflettere e domandarci quale responsabilità abbiamo noi in questa incapacità di vivere? In questa impossibilità di affrontare la frustrazione? Non siamo forse noi per prima a non essere capaci e a trasmettere loro tutto questo?

  • Cosa ti ha spinto ad avvicinarti a questo argomento così spinoso? 

Nel 2015 sono entrata in comunità a San Patrignano per realizzare un servizio per Vita In diretta, il programma di RaiUno di cui ero inviata. Quell’ingresso mi ha cambiato la vita perché mi ha fatto entrare in contatto con un mondo complesso, con la fragilità umana e con la determinazione di chi, nonostante tutto, prova a riprendersi la vita. È una realtà che mi ha colpito e commosso e che mi ha fatto sentire l’urgenza di scrivere e raccontare. Ho pensato fosse necessario farlo e così ho cominciato a raccogliere le storie di quei ragazzi, ad andare nelle piazze di spaccio, ad indagare un mondo che ci cammina accanto e che troppo spesso facciamo finta di non vedere. Da quel momento sono entrata in contatto con centinaia di famiglie sul territorio nazionale toccate da questo dramma e di cui nessuno sente il bisogno di parlare. Io credo di aver fatto ciò che semplicemente dovrebbe fare un giornalista: ho portato alla luce ciò che vive nell’ombra. L’ho fatto con il primo libro sul tema droga, “Una sottile linea bianca” (Perone), con in “Trincea per Amore – Storie di famiglie nell’inferno delle droghe” (Paoline) ed anche con l’ultimo pubblicato lo scorso novembre “La scimmia sulla culla – Bambini in crisi di astinenza” (Paoline).

  • Le mafie che ruolo hanno nella diffusione delle sostanze stupefacenti?

Le mafie sono le ‘titolari’ del traffico, ci sono loro dietro lo spaccio, le piazze reali e virtuali, dietro il traffico nazionale e internazionale. Comprare la droga dagli spacciatori, dunque, non solo significa far male a se stessi e ai propri cari, ma arricchir anche le casse delle mafie.

  • Quali sono le cause che spingono oggi un giovane alla tossicodipendenza? 

Prima di tutto ricordiamo che la droga è democratica e trasversale, non si ferma davanti ai titoli di studio, né davanti al portafogli. Riguarda le periferie e il centro della città. I ricchi e poveri. Le motivazioni che ci sono dietro pertanto sono tantissime: la povertà, ma anche la ricchezza, le famiglie unite e le famiglie separate, la noia, l’iperattività, la necessità di raggiungere dei risultati, la voglia di emergere nel gruppo, la paura, le delusioni, le frustrazioni, il dolore, il troppo amore, il poco amore, ma anche semplicemente il desiderio di appartenere al gruppo dei ‘fighi’ in una classe o in una scuola.

  • Pensi che il Covid ha peggiorato la situazione? 

Tutti pensavano che con il Covid lo smercio subisse una battuta di arresto. Questo è successo in parte nelle piazze di spaccio reali (dove tra l’altro si sono attrezzati con guanti e mascherine), ma si è spostato altrove adattandosi al momento. È stato incrementato il mercato online e quella piccola flessione che c’è stata nei mesi di chiusura totale nel 2020 è stata compensata e ulteriormente incrementata nei mesi successivi. Il Covid, inoltre, ha creato nuove fragilità, nuove paure e nuovi bisogni ai quali molte persone hanno risposto con la droga o altre dipendenze.

  • Quali saranno i prossimi progetti che seguirai su questo tema?

Oltre a collaborare con San Patrignano, sto realizzando il mio progetto di prevenzione a Vado Monzuno, in provincia di Bologna, dove, per il secondo anno consecutivo, insieme all’Anglad, Associazione nazionale genitori lotta alla droga, incontro le classi terze della scuola media. A fine aprile ne inizierò un altro a Cento e poi tornerò in presenza in autunno a Vigarano Mainarda (Fe) con il Festival InDipendenze, da me creato insieme ad Agnese De Michele, e di cui sono direttore artistico: un festival che, come dice il nome stesso, parla di dipendenze e indipendenze e che nelle due edizioni realizzate ha portato realmente e virtualmente a Vigarano nomi quali Federica Angeli, Antonio Nicaso e Nicola Gratteri tutti intervistati dai giovani. Caratteristica principale del Festival, infatti, è che siano i ragazzi a intervistare i personaggi che portiamo: è importante lavorare sulla loro assunzione di responsabilità, sulla loro crescita. È fondamentale che facciano tutte le domande che desiderano e che gli incontri possano lasciare traccia nei loro cuori e possano essere una bussola nelle scelte della vita.