La lezione di Mattei a mezzo secolo dalla sua morte

A oltre mezzo secolo dalla morte la lezione strategica di Enrico Mattei è tuttora attuale. La visione del fondatore dell’Eni univa un solido retroterra ideale e morale a una chiara e lucida visione degli interessi primari dell’Italia e alla capacità di realizzarli concretamente. La bussola mediterranea della politica dell’Eni di Mattei è tuttora un indicatore fondamentale per la direzione

Non voglio essere ricco in un Paese povero”. A decenni di distanza il riverbero delle parole più simboliche pronunciate da Enrico Mattei dà l’idea dell’ampiezza di vedute della personalità forse più influente della prima era repubblicana. E la sua lezione vale ora più che mai, mentre l’agenda energetica sembra tornare una priorità per il sistema-Paese Italia.

Il capitano d’industria che con maggiore lungimiranza seppe dare una coscienza geoeconomica e geopolitica alla Repubblica italiana nata dalle ceneri dello Stato monarchico-fascista, garantendo profondità al sistema politico imperniato sulla Democrazia Cristiana e all’apparato economico misto (pubblico e privato) che ebbe nel suo Ente Nazionale Idrocarburi (Eni) la punta di diamante.
Mattei, nato il 29 aprile 1906 ad Acqualunga in provincia di Macerata, si formò attraverso esperienze nell’industria manifatturiera e chimica, divenendo poi durante la guerra civile italiana del 1943-1945 una figura chiave del movimento di resistenza cattolico contro i nazifascisti. Cooptato ai più alti livelli del Comitato di Liberazione Nazionale, Mattei sfilò alla testa del corteo milanese per la celebrazione della Liberazione nel maggio 1945, fianco a fianco con personalità del calibro di Luigi Longo e Ferruccio Parri. Subito dopo, avviò il suo lavoro come commissario dell’Agenzia Generale Italiana Petroli (Agip), carica ricevuta il 28 aprile 1945, difendendola da ogni volontà politica di privatizzarla e muovendosi con tenacia e spregiudicatezza per approfondire la ricerca di idrocarburi sul territorio nazionale. Tale processo condurrà, nel 1953, al posizionamento dell’Agip sotto la neocostituita Eni.

Mattei è l’Eni, l’Eni è Mattei, e entrambi sono la “coscienza strategica” del Paese ancora oggi, a quasi sessant’anni dalla morte dell’ex partigiano cattolico marchigiano. Nell’azione dell’Eni, infatti, si può leggere in filigrana quella che era la visione politica e strategica di Mattei, da lui trasmessa attraverso la forte influenza nella corrente della Sinistra di Base democristiana, veicolata con massicci finanziamenti e con il sostegno mediatico del quotidiano Il Giorno. Visione che basava le sue componenti principali su una serie di presupposti realistici e sulle necessità di un Paese che negli anni in cui l’Agip in cui Mattei era entrato come “liquidatore” dopo la liberazione avviava la sua trasformazione in Eni. In primo luogo, Mattei riteneva che la sicurezza energetica fosse un caposaldo fondamentale per permettere all’economia nazionale di prosperare e all’Italia di accedere a uno spazio di maggiore influenza nel suo naturale teatro d’azione, il Mediterraneo.

Ora che l’agenda energetica dell’Italia torna in prima linea nella tempesta d’Ucraina, la lezione strategica del direttore dell’Eni è più attuale che mai.

Mattei intuì che un Paese povero di fonti energetiche nel secondo dopoguerra necessitava di stabilizzare i suoi canali di rifornimento per avviare il percorso di crescita che avrebbe portato al “boom” di fine Anni Cinquanta. La sicurezza energetica è vitale per un’economia di trasformazione come quella italiana, e apre le porte alla necessaria scoperta del Mediterraneo e delle prospettive e sfide ritrovabili solcando le sue acque e toccando le sue sponde.

Quando l’Eni iniziò la sua attività, Mattei la diresse puntando con forza verso l’inserimento dell’azienda nei grandi circuiti petroliferi internazionali. Unico reale viatico per la stabilizzazione della sicurezza energetica in funzione dell’interesse nazionale. Operazione a tutto campo che avrebbe coinvolto sia i governi italiani, intenti ad approfondire sul solco dell’Eni le relazioni nel mondo mediterraneo e arabo[1], che l’apparato di informazione e sostegno mediatico costruito da Mattei, il cui grande rivale fu il cartello oligopolistico anglo-americano delle “Sette Sorelle”. Apparentemente inscalfibili nella loro posizione di primazia nei mercati energetici globali. Sfidate vis a vis dal “cane a sei zampe” attraverso una strategia capace di coinvolgere attente logiche economiche, una visione strategica degli equilibri di lungo corso dei mercati energetici, un’attenzione speciale per le aspettative dei governi dei Paesi produttori[2] (il “Terzo Mondo” in ascesa post-coloniale) e, soprattutto, un attento ragionamento di stampo geopolitico.

Mattei comprese che le rotte dell’interesse nazionale passavano, in primo luogo, per le acque del Mediterraneo e per la tutela di filiere essenziali per il benessere del Paese. Nel complesso dell’architettura di governo dell’economia di matrice mista, l’Eni presidiando la filiera energetica svolgeva per gli interessi del Paese un ruolo complementare a quello svolto entro i confini nazionali dalle aziende dell’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri). Come scrivevamo su Osservatorio Globalizzazione, infatti, l’Italia del secondo dopoguerra necessitava “di infrastrutture di base, di costruire un tessuto produttivo funzionale allo sviluppo di un settore manifatturiero di livello mondiale, di procacciarsi conoscenze e materie prime necessarie al decollo del Paese[3]”, ovvero di creare la condizioni fondamentali per partecipare da Paese in continuo sviluppo alle dinamiche dei mercati globali e alla competizione economico-commerciale, tutelando la sua posizione di media potenza. La visione strategica di Mattei, in questo senso, si inserì in una concezione di più ampio respiro che avrebbe caratterizzato tutta la storia della Prima Repubblica: l’economia forniva la base d’appoggio per sviluppare una strategia originale ed autonoma e costruire rapporti di cooperazione costruttiva, buon vicinato e collaborazione con i Paesi dell’area euro-mediterranea, sfruttando i margini di manovra concessi dalle maglie della Guerra Fredda.

Grande fu sul tema la sintonia di Mattei con l’esponente democristiano, ex sottosegretario al Ministero del Lavoro e sindaco di Firenze Giorgio La Pira, che negli Anni Cinquanta rese il capoluogo toscano centro dei pionieristici “Dialoghi mediterranei[4]” e fu la punta di lancia dell’ampliamento dei rapporti diplomatici dell’Italia con l’Unione Sovietica e la Cina. Mattei e La Pira condividevano ideali, visioni, modi di pensare. Da un lato, li avvicinava un forte retroterra ideale, l’adesione a una cultura cattolica fortemente autonomista e non completamente subalterna alle logiche della scelta di campo della Guerra Fredda, una curiosità intellettuale e politica rara; dall’altro, la capacità di mediare in maniera pragmatica ed operativa tra il costrutto ideale e la conseguente azione politica o dirigenziale quotidiana.

La morte di Mattei nel tragico incidente di Bascapè del 27 ottobre 1962, che nel 2012 è stato riconosciuto come legato ad un attentato nel contesto del processo sull’omicidio del giornalista Tullio De Mauro, privò l’Italia di un grande costruttore delle sue fortune post-belliche, ma lasciò al contempo in eredità un insegnamento ideale, valoriale e strategico di non secondaria importanza. Mattei aveva compreso la complessità del mondo e la necessità di programmare le politiche più aderenti all’interesse nazionale italiano. Da problemi concreti (la ricerca dei più funzionali approvvigionamenti energetici) si potevano costruire iniziative politiche e diplomatiche volte a rafforzare il ruolo dell’Italia sulla scena internazionale e applicare una visione ideale nel cui orizzonte l’Italia appariva come uno Stato in grado di rialzare la testa, progredire e costituire una propria sfera d’azione in campo geopolitico.
Il lascito maggiore che Mattei ha dato a chi è venuto dopo di lui è principalmente questo: la consapevolezza che il Paese ha i mezzi, gli strumenti e il capitale umano per evitare un destino di anonimato e declino. Servirà tornare a pensare da attori strategici e geopolitici nel contesto globale e comprendere l’interrelazione tra le problematiche economiche, le questioni politiche e le prospettive sociali.
La globalizzazione contemporanea avrebbe certamente posto Mattei di fronte a diversi interrogativi, ma il suo 
modus operandi non sarebbe mutato: procedere dai piccoli problemi alle grandi strategie non deviando dalla rotta indicata da una precisa bussola ideale. E nei giorni della grande tempesta globale ciò deve essere una Stella Polare per il Paese.

Note

[1] Sul tema si veda: Leonardo Palma (a cura di), Bella e perduta. L’Italia nella politica internazionale, Idrovolante Edizione, Roma, 2019.

[2] Particolarmente rilevante il ruolo giocato dal Cane a sei zampe nel processo di indipendenza algerino e nel contesto di una rivalità mediterranea con la Francia estremamente accesa sul fronte mediterraneo, cfr. Alessandro Aresu, Enrico Mattei, martire d’Algeria, Limes 6/2019 – “Dalle Libie all’Algeria, affari nostri”, pp. 101-108.

[3] Andrea Muratore, Dallo Stato imprenditore allo Stato-stratega: dibattito sull’IriOsservatorio Globalizzazione, 8 gennaio 2020.

[4] Sui dialoghi e sulla figura di La Pira in generale segnaliamo: Domenico Di Carlo, Giorgio La Pira. Operatore di pace, profeta di speranza e di un nuovo umanesimo, Solfanelli, 2019.