Chi di emergenza ferisce, di emergenza perisce

La favola del “al lupo al lupo” è una delle prime solitamente a essere raccontata dai genitori ai propri figli. Serve per evitare che un bambino non chieda aiuto quando non he ha realmente bisogno e solo per un ottenere una cospicua dosa di attenzione. Perché poi, al momento del vero bisogno, nessuno ci crede.

In Italia è da più di due anni che si grida all’emergenza. Da quando cioè è arrivato il Covid dalle nostre parti. E se in un primo momento (ma anche in un secondo e in un terzo) gli italiani hanno ascoltato i consigli di chi ha preconizzato scenari apocalittici, adesso la situazione rischia di diventare pericolosamente grottesca.

Leggere le bacheche social di molti dei protagonisti di questa stagione Covid (inutile fare nomi, si conoscono e non è intento del sottoscritto fare loro pubblicità), vuol dire avventurarsi in un autentico percorso di ansia. Numeri su numeri, allarmi su allarmi, previsioni su previsioni. Sembra quasi dia fastidio l’idea che i cittadini passino un’estate serena, in vacanza o comunque staccando la spina da due anni infernali.

Ma come, i contagi corrono e loro non devono dire nulla? Si potrebbe obiettare così alla precedente affermazione. Il problema sta, per l’appunto, in come si raccontano le cose. Vero, ci sono ancora i morti, ci sono ancora i soggetti ospedalizzati, ci sono ancora le file davanti le farmacie per fare i tamponi. Però poi spesso nella narrazione si va oltre. Si dice, ad esempio, che se oggi in piena estate i contagi corrono, allora ad ottobre saremo sommersi e vivremo una sorta di apocalisse infettiva.

E perché mai? D’accordo, il sottoscritto non è un virologo ma in questi due anni ho attentamente, per lavoro e non per diletto, osservato l’andamento dell’epidemia. Qualche dubbio sulle previsioni più sciagurate è più che legittimo. Quando arriva un’ondata, essa dura almeno 70 giorni. Al quarantesimo arriva al picco, poi scende. A volte gradatamente, a volte in picchiata. Questo a prescindere dalle misure restrittive prese o non prese. Quando si resta a casa oppure quando si esce per fare vita sociale, se una persona è positiva contagia ugualmente. Il parente con cui vive oppure un soggetto che ha a fianco a sé nel bar. Se un’ondata di contagio parte, è destinata a raggiungere un picco e poi a scendere. Chiusure o non chiusure.

Alla luce di ciò, se il picco lo si sta raggiungendo adesso a luglio, probabilmente ad agosto avremo meno contagi e meno ricoveri. Allora, può essere che il Covid tornerà a ottobre. Ma può anche darsi che con una vasta platea immunizzata in autunno non accada un bel niente. Il dubbio è, per l’appunto, più che legittimo. Senza il dubbio non c’è confronto e quindi non c’è democrazia. Fare parlare solo i numeri, senza un ragionamento di fondo, vuol dire generare ansia inutile e uccidere il buon senso.

Un po’ quello che è successo nell’aprile 2021 con il virologo Massimo Galli. Il nome stavolta lo scrivo perché successivamente è stato lui stesso a chiedere scusa agli italiani per le sue previsioni non azzeccate. Quando il governo Draghi in quel mese ha parzialmente riaperto il Paese e ha tolto molte misure restrittive, il virologo ha preconizzato scenari nefasti. Bastava però rifarsi ai precedenti del 2020 per capire che l’ondata in corso nell’aprile 2021 stava scemando e le riaperture non avrebbero comportato alcun peggioramento della situazione.

Dubbi e perplessità non sono solo del sottoscritto, ma di milioni di italiani. I quali per necessità (quella di staccare la spina) o per mero buon senso si stanno distaccando un po’ dal “fascino” dell’emergenza. Gli alberghi sono pieni, i ristoranti altrettanto. La gente viaggia, va ai concerti, frequenta gli stadi, assalta le spiagge. Si vive, in poche parole. Non perché si è incoscienti, ma perché le persone hanno adesso più paura dell’anormalità, dell’ansia e della depressione che del Covid. Milioni di persone hanno avuto il virus in questi mesi e hanno notato una bassa pericolosità (certificata peraltro anche dall’Oms, il quale parla di elevata contagiosità ma di bassa letalità). Se a questo si aggiunge che il 90% degli italiani ha fatto il vaccino, è più che normale che nessuno abbia voglia di pensare all’emergenza.

Più la si invoca, al contrario, e più la gente cambierà canale quando si parla di pandemia. Con il rischio di generare il paradosso della favoletta iniziale: se dovesse realmente giungere un’emergenza, nessuno ci crederà.

Non solo Covid

Ma non è soltanto il capitolo coronavirus ad aver fatto emergere in Italia l’orrido gusto per le emergenze. Sembra quasi che il Paese sia impossibilitato a vivere senza gridare al pericolo imminente. Lo si è visto di recente con la tragedia della Marmolada. Più che puntare l’attenzione sulle vittime, è stato ripetuto più volte che oramai si è “fuori tempo massimo”. La sciagura è stata provocata dal cambiamento climatico e non è rimasto molto da fare per cambiare rotta.

Anche in questo caso si parte da un problema serio e reale, quale quello dell’inquinamento e della necessità di una transizione ecologica, per giungere poi a un’isteria grottesca. Oggi l’uomo ha nelle sue mani tecnologie e conoscenze scientifiche tali da poter rallentare il riscaldamento e utilizzare risorse meno inquinanti e meno impattanti. Indubbiamente rappresenta un dovere storico nei confronti delle prossime generazioni mettere a frutto i progressi tecnologici. Per farlo però occorre un piano,  il quale ha i suoi tempi, sia a livello nazionale che internazionale.

Generare ansia quale effetto avrà invece se non quello che la gente, ancora una volta, non darà più ascolto a chi parla? Allo stesso modo di come milioni di italiani oggi non dichiarano il tampone positivo in caso di febbre, in futuro in tanti non spegneranno l’aria condizionata solo in nome di un’altra emergenza. Chi di emergenza ferisce, in poche parole, di emergenza perisce.