L’analisi. Improcrastinabile necessità di ottimizzare gli acquisti pubblici

Tra le tante funzioni sociali del mercato per le forniture alle pubbliche amministrazioni di ogni ordine e grado nella nazione, certamente spicca la possibilità di poter quantomeno iniziare a competere sui mercati interni, anche quando geografia e logistica non aiutano.

Tra i tanti rischi insiti, invece, nello stesso mercato spiccano certamente quelli della corruzione, della collusione e del clientelismo, che fanno il paio anche con lo spreco di risorse pubbliche.

Era aprile 2019 quando si esultava per il decreto cosiddetto “sblocca-cantieri”. Promosso come la manna dal cielo per liberare fondi pubblici, si diceva, incatenati nelle grinfie di quel caprio espiratorio genericamente detto burocrazia.

Siamo oltre la metà del 2022, i meccanismi sono stati gradualmente implementati e tanto è cambiato nell’economia e nella giustizia reali.

Innanzitutto va detto che con lo sblocca-cantieri si sono estremamente semplificate le procedure di affidamento di appalti, consentendo alla pubblica amministrazione, entro soglie ben più corpose di prima, di procedere ad affidamenti diretti (in alcuni casi senza confronti tra varie offerte) ed a negoziazioni chiuse a pochi partecipanti. Tutto ciò dandone poi evidenza tramite le pubblicazioni sui previsti spazi telematici.

Cosa comporta è presto detto. Se prima dello sblocca-cantieri, spesso, anche la fornitura più modesta del più piccolo e remoto tra i Comuni avveniva dando tempo ed evidenza per consentire la possibilità di partecipare a più operatori possibile (leggasi massima apertura alla concorrenza), ora le cose avvengono sovente molto molto rapidamente…e ristrettamente.

Certo, i costi del personale che si occupava di gare negli uffici pubblici sono stati stroncati. Pare ragionevole però ipotizzare che la spesa pubblica sia complessivamente aumentata, perché gli sconti sono drasticamente diminuiti. Forse anche perché aumenteranno costi di indagini e processi.

Certo, i tempi del fare sono stati falciati. Pare altrettanto ragionevole però ipotizzare che il livello di trasparenza sia stato ridotto (con gli ovvi connessi rischi citati in premessa). D’altro canto è sensazione diffusa, seppur popolare, che con adeguata programmazione e formazione il fare sarebbe comunque spesso avvenuto nei tempi.

Altro interessante connesso capitolo: mondo digitale. Vige l’obbligo – parzialmente contestualmente annullato per le “piccole” somme, quelle meno controllate e controllabili, dalla possibilità di ricorrere a semplici preventivi – di procedere all’individuazione del fornitore tramite portali telematici di acquisto. Un’idea – quest’ultima – moderna, dinamica, trasparente, rapida, accessibile. E lo Stato si è dotato anche di una piattaforma di compravendita eccezionale, chiamata Mepa. In due parole: efficace ed efficiente. Il Mepa, per semplificare per i non addetti ai lavori, è una sorta di piattaforma Amazon per le forniture a tutte le pubbliche amministrazioni. Fin qui tutto bene. Poi però, in nome di tanti buoni principi e con dei vincoli, si è consentito di potersi dotare di piattaforme proprie: sempre per semplificare, dei piccoli siti di e-commerce per singole o aggregate pubbliche amministrazioni. Solo che manca il Google di turno per poter ottenere l’informazione che in quel dato giorno, in quella specifica piattaforma (tra le migliaia esistenti), una pubblica amministrazione cerca quel dato prodotto o quel dato servizio, per il quale enne aziende potrebbero fornire un’offerta. Peccato.

Anche in questo caso è presto detto l’epilogo. Da un lato la spesa per fruire (ambo le parti) di migliaia di portali diversi si moltiplica enormemente. Dall’altro, l’azienda non potrà in nessun caso monitorare tutti i piccoli siti di e-commerce quotidianamente, l’informazione resterà molto frammentata e limitata, i concorrenti saranno pochi e i ribassi saranno ridotti. Implicitamente, anche in questo caso, aumentano i rischi di corruzione, concussione e clientelismo.

Ultimo atto. Il caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ovvero sviluppata sia sotto il profilo economico sia sotto quello tecnico. Una commissione esamina da un lato il prezzo economico offerto dall’operatore, dall’altro le migliorerie tecniche proposte dall’azienda. Quindi, mentre la valutazione quantitativa sul prezzo sarà oggettiva e di mera comparazione della percentuale di sconto offerta, quella qualitativa (offerta tecnica) sarà come un tema a scuola: un docente lo può valutare insufficiente, l’altro particolarmente apprezzabile. Inutile sottolineare i rischi del caso. Tra l’altro, per esempio nel caso dell’edilizia, pare quantomeno inopportuno che aziende di mere costruzioni, spesso senza un ufficio tecnico interno specializzato nella progettazione, e che comunque non sarebbe terzo ed indipendente, possano incidere su un aspetto che non sia prettamente esecutivo.

C’è da rabbrividire in vista della spesa per il PNRR. Ma le attese sono tutte riposte nella riforma normativa in corso in materia di contratti pubblici, sperando che i previsti allineamenti al sistema europeo e meccanismi di semplificazione non abbiano come effetti collaterali spazi per il malaffare, stante le purtroppo tristemente note peculiarità nostrane.

Una possibile soluzione di breve termine, un blend: ritorno a sistemi di gara aperta con evidenza pubblica quasi totalitari, separazione netta dei ruoli tra progettuale/direzione lavori ed esecutivo, obbligo di utilizzo del Mepa come unica piattaforma di e-procurement nazionale, formazione costante e di alta qualità delle risorse umane delle amministrazioni (esplicitamente prevista nella riforma), forti disincentivi alla mancanza di programmazione nei pubblici uffici.

Chissà che il prossimo futuro poi non consenta di pensare da veri europeisti, unificando regole e piattaforma per tutto il vecchio continente.