La drammatica attualità del blackout del 28 settembre 2003

Esattamente 19 anni fa un blackout spegneva l'Italia: i mali di allora oggi non sono stati ancora sanati

I primi ad accorgersene sono stati i romani. Nella capitale era in corso la prima edizione della Notte Bianca e, improvvisamente, alle 3:20 è mancata la luce. Strade al buio, metropolitane ferme, cittadini e turisti costretti a percorrere il centro storico a piedi in piena notte per via dei mezzi non funzionanti. Qualcosa era evidentemente successa.

Lo stesso pensiero lo hanno avuto tutti gli altri italiani quando poche ore dopo si sono svegliati. Era una domenica, scuole e uffici erano chiusi, chi si preparava a uscire o ad andare a messa ha notato la mancanza di luce. Non solo nel proprio appartamento, ma anche nel proprio condominio, nel proprio quartiere e nella propria città. Senza televisione, soltanto con il passaparola si è potuta conoscere la verità.

L’Italia intera era finita al buio. Era un blackout generale, non c’era via o borgo in tutta la penisola che non era rimasto al buio. Tra i vicini o tra chi al bar provava a incontrare qualcuno per saperne di più, c’era chi aveva acceso la radio a pile. L’unico strumento rimasto per riallacciarsi con il resto del mondo. E da lì si è sparsa la notizia dei buio generale. Non c’erano né smartphone e né social, quindi quel passaparola soltanto è riuscito a informare tutti in modo capillare.

Così al mattino gli italiani conoscevano quanto accaduto e iniziavano a fare i conti con i disagi. Cibi andati a male, impossibilità di preparare da mangiare, niente svago e niente passatempi, in quella domenica era quasi obbligatorio tornare al passato e aspettare il ritorno alla normalità.

Era il 28 settembre 2003. Da allora sono passati esattamente 19 anni. Quando poi l’Italia si è riaccesa, prima al nord, poi progressivamente a macchia di leopardo al centro e al sud, in tv è stata una sfilza di analisi, considerazioni e promesse. Il blackout ha mostrato la vulnerabilità energetica del nostro Paese, da anni oramai abituato a importare buona parte delle risorse dall’estero. Il danno era partito proprio fuori dai nostri confini: un temporale in Svizzera ha sovraccaricato diverse linee dirette in Italia e da qui un vero e proprio “tsunami” fuori controllo che ha spento tutto per un’intera domenica.

Il dibattito che ne è seguito è incredibilmente attuale. Si è parlato della necessità di nuove centrali elettriche, del raggiungimento dell’autosufficienza energetica, della possibilità di ridurre la dipendenza dall’estero, così come di implementare l’uso delle energie rinnovabili e alternative. Si era nuovamente tirata fuori la questione del nucleare. In poche parole, i dibattiti di allora sono quelli di adesso. A distanza di 19 anni l’Italia è alle prese con una grave crisi energetica, pagata dai cittadini a suon di bollette schizzate in alto.

C’è la guerra in Ucraina, c’è probabilmente un’ignobile speculazione sul mercato, c’è la necessità di una transizione energetica, ci sono senza dubbio tanti motivi che oggi ci hanno ridotto in una situazione di allarme. Ma, al tempo stesso, a sentire i dibattiti del 2003 forse ad emergere sono soprattutto responsabilità di classi dirigenti che in due decenni non hanno mai del tutto dato seguito ai buoni propositi di allora e né, probabilmente, hanno avuto ben chiara la strategia da adottare. L’Italia anche oggi rischia il buio, il razionamento e soprattutto oggi rischia di avere molte famiglie impossibilitate a pagare i costi dell’energia. E la colpa non è soltanto del fantomatico “contesto internazionale”.