Il Kosovo e i suoi dissidenti

Le tensioni degli ultimi giorni tra manifestanti serbi e i militari delle Kosovo Force (KFOR) hanno nuovamente riportato il Kosovo sotto i riflettori dei media internazionali. Sugli stessi incidenti molti commentatori hanno riproposto lo scontro (di civiltà?) tra NATO e Federazione Russa sulla scia della guerra in Ucraina. Una narrazione che paradossalmente favorisce le speculazioni di Belgrado e Mosca contro le forze militari della NATO, accusate di intervenire violentemente contro l’allora Yugoslavia e la comunità serba ancora presente in Kosovo.

Le conseguenze dell’ennesima crisi locale non possono non ripercuotersi sugli stessi cittadini del Kosovo, serbi inclusi. Quest’ultimi rimangono sistematicamente le vere vittime delle manipolazioni esterne delle classi dirigenti di Belgrado e di un processo di polarizzazione mediatico che allontana il loro futuro da una duratura riconciliazione con Pristina e dal definitivo ingresso in Unione Europea.

Se è vero che l’integrazione dei cittadini serbi rimane un rompicapo per le autorità di Pristina, è altrettanto vero che le tensioni degli ultimi giorni conseguono da una lunga serie di sabotaggi orchestrati dagli stessi politici serbi. L’interferenza di Belgrado viene dimostrata dal caso di Dragan Smigič, poliziotto serbo proveniente da Rudare, sobborgo serbo lontano un centinaio di chilometri dalla zona degli scontri, immortalato insieme a altri facinorosi accusati dai media kosovari di presunti collegamenti con le organizzazioni criminali di stampo internazionale vicine alla classe dirigente serba. Lo dimostra anche il caso di Igor Simi, rappresentante della “Lista Serba” in Kosovo, il cui nome è stato utilizzato per un intervista rilasciata da un altro manifestante, o presunto tale. Lo dimostra anche il caso Igor Simić, rappresentante della “Lista Serba” in Kosovo, il cui nome appare in un’intervista rilasciata da un altro manifestante, o presunto tale.

La regione teatro degli scontri viene presentata come la roccaforte serba a causa della gestione diretta di un sistema parallelo le cui direttive provenienti da Belgrado escludono le voci critiche della comunità serba dal processo di normalizzazione con Pristina e continuano a privare la stessa comunità serba di una propria soggettiva politica. Dalla scuola all’università parallela, dagli ospedali alle amministrazioni locali, dal sistema pensionistico e quello della raccolta dei rifiuti, tutto viene gestito da Belgrado. Una piovra affamata di potere capace di raggiungere le altre comunità serbe che da Graanica a Strpe, da Rahovec a Pe, cercano di ricostruire rapporti di buon vicinato con la comunità albanese, vengono invece ignorate dalle autorità locali e nazionali serbe e kosovare.

Un limbo esistenziale peggiorato dai pregiudizi derivanti dalle storture mediatiche e rappresentazioni ingiuste della politica regionale. L’attuale crisi, ad esempio, inizia lo scorso dicembre 2022, quando tutti i rappresentanti serbi decisero di interrompere le relazione con le autorità di Pristina abbandonando le loro cariche istituzionali. Decisione presa per protestare contro la mancata volontà del parlamento nazionale di accelerare la realizzazione di un’autonomia amministrativa per le municipalità serbe del Kosovo, ma che in realtà aveva lo scopo di ingolfare il processo di riconciliazione. Un atteggiamento reiterato anche lo scorso 23 aprile, quando le elezioni volute da Pristina nella regioni settentrionali furono boicottate dalla stessa comunità serba. L’ennesimo paradosso che ha regalato ai candidati di origine albanese una facile vittoria elettorale di fronte al bassissimo livello di affluenza elettorale fermatosi intorno al 3,4%. Un risultato oggi contestato da chi decise di non partecipare per mera volontà politica.

L’“Aventino serbo” appare oggi l’inizio di uno scontro tra un Paese molto vicino alla Federazione Russa, la Serbia, e un altro la cui statualità è di fatto protetta dalla NATO, il Kosovo, ma che in realtà evidenzia altri problemi per il Kosovo nei prossimi mesi.

L’ennesima stagione di forte instabilità interna e istituzionale spazzerà via lo spettro di un conflitto militare. La comunità serba verrà resa nuovamente incapace di liberarsi dalla vessazione di Belgrado e dalla pressione di una società civile serba incapace di fare i conti con la propria storia nazionale nei confronti del Kosovo. Quella stessa società civile ancora traumatizzata dalle violenze negli istituti scolastici della capitale, e che oggi si riversa per le lunghe strade della capitale in cerca di un’alternativa che al momento appare non esistere e non in grado di manifestarsi.