Crisi in Ucraina, le peculiarità di Leopoli: ne parliamo con Francesco Trupia

Francesco Trupia vive oramai la sua Agrigento poche settimane all’anno. In estate particolarmente: “Un po’ di sole – ci dice a microfoni spenti – non guasta mai”. Da anni infatti vive girando il mondo e, soprattutto, l’Europa dell’est. Oggi è ricercatore all’Università di Torun, in Polonia: “Lì – assicura – in inverno il sole lo vedi pochissimo, ma si sta bene”. La Sicilia manca a prescindere, ma nel tempo ha imparato a conoscere bene abitudini, usi e costumi di quei Paesi un tempo oltre la cortina di ferro. Nell’ultimo decennio il giovane agrigentino ha conosciuto il Nagorno/Karabakh, la regione ricaduta nel settembre 2020 nella morsa della guerra, la Bulgaria, la Polonia per l’appunto, ma anche la turbolenta Ucraina. E allora gli abbiamo voluto chiedere notizie su una specifica zona del Paese per il momento maggiormente sotto i riflettori, quella cioè di Leopoli. Qui si stanno trasferendo alcune ambasciate occidentali, qui hanno preso piede i movimenti più vicini ai nazionalisti, sempre da qui verso Kiev sono partiti nel 2014 molti manifestanti della cosiddetta protesta di “EuroMaidan”.

  •  Leopoli viene definita come il “cuore” dell’Ucraina filo occidentale: è così?

Storicamente Leopoli è considerata come uno dei maggiori centri culturali del Paese. È una delle città ucraine con più lunga tradizione universitaria e multiculturale, definita dall’UNESCO molto simile all’Italia e alla Germania per i suoi paesaggi urbani. L’intera regione occidentale del Paese negli ultimi anni è stata protagonista di una rivalutazione e promozione culturale che mostra un’Ucraina assai diversa rispetto agli stereotipi costruiti prima del crollo dell’Unione Sovietica. La promozione degli aspetti storico-culturali di Leopoli, e di altre cittadine in Ucraina occidentale, come Černivci per esempio, è divenuta lo strumento ideale per allineare il Paese a quell’identità europea di diversità e inclusione tanto promossa dalle istituzioni di Brussels.

Forse la divisione troppo culturalista delle regioni “occidentali” e “orientali” del Paese – che Samuel Hungitgon rese celebre durante gli anni Novanta – potrebbe essere oggi ripensata, nonostante l’attuale crisi in Donbass e la complessa situazione in Crimea abbiano rinforzato l’idea di un’Ucraina “filo-occidentale” e una più “russofona”. Senza dubbio, l’etichetta di città “filo occidentale” ha una spiegazione puramente politica. Nel 2019, il 90% delle preferenze di Leopoli e dell’intera regione occidentale andarono a favore di Poroshenko, uomo politico che aveva iniziato un processo di forte ravvicinamento tra Kiev e l’“occidente”. Cionostante, bisogna ricordare che Poroshenko perse quelle elezioni contro l’attuale capo del governo Zelensky che, proprio in questi anni, non pare aver sviluppato una chiara strategia sul versante orientale del Paese.

  •  Come mai gli Usa hanno deciso di tenere aperta qui l’ambasciata?

Credo sia stata una mera scelta strategica dinnanzi alla certa, ma in realtà ancora non pienamente concretizzatasi, “invasione” russa. Leopoli si trova non solo assai distante dai possibili corridoi attraverso i quali la Federazione Russa sembrerebbe poter intervenire militarmente, ma anche molto vicina ai confini della Polonia. Un’ipotetica gestione dei flussi di sfollati e le attività di cooperazione con l’Unione Europea e la Nato proprio dal territorio polacco, pare abbiano condotto a questa scelta. Personalmente, credo che lo spostamento delle sedi ufficiali delle ambasciate abbia contribuito a inasprire la già tesa situazione diplomatica. Spostare le sedi diplomatiche, infatti, ha un suo peso politico molto importante in ambito internazionale, soprattutto sul piano simbolico. Una tale scelta potrebbe creare ulteriori destabilizzazioni in altre regioni: un esempio fra tutti, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele dell’ex presidente americano, Donald J. Trump, promosse l’apertura delle sedi diplomatiche di Serbia e Kosovo nella stessa città, inasprendo una situazione più complessa sul diritto internazionale riguardante i principi di sovranità nazionale, integrità territoriale, etc.

  • Da Leopoli nei giorni scorsi sono arrivate immagini di relativa tranquillità quotidiana: ma si è davvero vicini alla guerra?

Credo che non ci sarà nessuna guerra estesa all’intero territorio ucraino, quantomeno nelle sembianze tradizionali di un conflitto armato che i vari canali di informazione continuano a promulgare istericamente. Analizzando l’attuale crisi non solo all’interno del contesto europeo, ma anche in quello globale, appare assai difficile che la Federazione Russa intervenga militarmente in Ucraina, puntando Kiev
come obiettivo militare. Qualora avvenisse, sarebbe un suicidio politico per Vladimir Putin e per l’intera Federazione Russa sul piano geopolitico. Ovviamente rimangono le questioni legate al Donbass e alla Crimea, dove il conflitto appare potersi circoscrivere. Vi sono però altri fattori e prospettive da considerare. Al momento, non appare chiaro come Zelensky voglia risolvere la questione legata al Donbass sul piano della riconciliazione nazionale, nazionale, soprattutto se l’esercito ucraino riuscisse nel suo obiettivo di ripristinare il controllo dei
territori. Senza un piano nazionale di ripristino delle condizioni di vita quotidiana per la popolazione del Donbass, che viene oggi evacuato, una possibile vittoria ucraina nella regione prenderebbe le forme di una pulizia etnica. Un errore che Kiev non può permettersi.

Inoltre, non pare neanche chiaro quale sia il futuro dell’Ucraina all’indomani di questa ennesima crisi tra Washington e Mosca. Supportata dalla coalizione occidentale, Kiev avrebbe le capacità militari di riprendersi i territori di Donetsk e Luhansk, soprattutto attraverso un potenziale utilizzo dei Bayaktar – i droni di produzione turca e di ultima generazione che hanno giocato un ruolo fondamentale per l’Azerbaijan in Nagorno-Karabakh. Bisognerebbe poi anche analizzare la stessa regione del Donbass sotto il profilo socio-politico: la capitale di Donetsk ha subito un’ importante gentrificazione, molte proprietà nel settore immobiliare sono state comprate da oligarchi russi, e la politica di passportizzazione ha influito molto sulla popolazione locale che oggi viene evacuata nell’oblast di Rostov sul Don. Paradossalmente, anche un probabile scenario post bellico favorevole all’Ucraina avrebbe le sue conseguenze non facili da affrontare. Allo stato delle cose, un ripristino della sovranità territoriale – esclusa la Crimea – passerebbe sempre attraverso un conflitto che potrebbe allontanare Kiev tanto da Mosca quanto da Brussels. Tutto ciò comprometterebbe la stessa risoluzione del conflitto con la controparte sul
piano diplomatico, inasprendo le già inesistenti relazioni internazionali tra i due Paesi., L’Ucraina vedrebbe complicarsi il suo percorso di avvicinamento all’Unione Europea: la politica interna sarebbe costretta ad affrontare una serie di conseguenze legate alla situazione post-conflitto: la ricostruzione dei territori, gli investimenti da fare all’interno di quest’ultimi, il giustificare il numero di vite spezzate, il problema di rifugiati interni (IDPs). Un tale scenario sul piano economico e politica allontanerebbe il Paese dall’ingresso in Unione Europea.

  •  In generale, come evolverà secondo te la vicenda ucraina?

Attualmente la situazione rimane tanto complessa in ambito diplomatico quanto ambigua in ambito militare. Negli ultimi anni, la Federazione Russa non ha mai avuto una chiara posizione di intervento militare estero negli scenario instabili. L’intervento in Siria non ha parallelismi con il Donbass; l’invio dei peacekeer in Nagorno-Karabakh non ha precedenti in Africa o Asia Centrale; il mancato
riconoscimento delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk potrebbe avvenire nei prossimi giorni come extrema ratio, ma sicuramente non possiamo paragonare tale scelta al rapido riconoscimento di Abkhazia e Ossezia del Sud all’interno del territorio georgiano. Mosca ha attuato una “strategia di imitazione”, il cosiddetto mirroring, delle manovre occidentali. Imitando tali strategie e manovre, Mosca si è garantita una “parità di trattamento”, quantomeno sul piano diplomatico e soprattutto politico dal punto di vista retorico. Ad esempio Putin giustifica la posizione russa in Crimea citando lo scenario in Kosovo del 1999: se la Nato intervenne per salvaguardare la comunità albanese contro il regime di Milosevic, perché Mosca non poteva fare lo stesso per salvaguardare la minoranza russa si trovava in difficoltà in Ucraina orientale? Probabilmente, questa posizione “a specchio” rivela l’intenzione della Nato e della coalizione occidentale di spingersi verso un conflitto le cui conseguenze sarebbero a dir poco disastrose per l’intero continente europeo. Molto probabilmente, sarà proprio l’Europa a pagare le conseguenze maggiori in ambito geopolitico e soprattutto economico.