Quei segnali da Praga da non sottovalutare

Nei giorni scorsi nella capitale della Repubblica Ceca è andata in scena una manifestazione in cui è stato chiesto un cambio di rotta anche sull'Ucraina: perché segnali del genere stanno arrivando proprio adesso e perché proprio dall'est? Ne abbiamo parlato con il giornalista Lorenzo Vita

Quando accaduto a Praga non è passato inosservato. Migliaia di persone sono scese in piazza e hanno chiesto la fine dell’attuale politica del governo. L’eco delle manifestazioni ha raggiunto l’intero vecchio continente. E il perché è presto detto: la politica contro cui i cittadini della Repubblica Ceca hanno puntato il dito non riguarda soltanto scelte di natura interna. Al contrario, l’aumento dei costi per l’energia, il caro vita e altri elementi segnanti una vera e propria insofferenza sociale sono stati attribuiti alle politiche contro Mosca.

 

Si è chiesto quindi un cambio di rotta in tal senso: pensare in primis ai problemi interni e riporre in secondo piano la linea oltranzista sull’Ucraina. La domanda sorge quindi spontanea: a Praga è successo un qualcosa in grado di avere conseguenze in tutta Europa? “È difficile fare previsioni in questo senso – ha risposto ai nostri microfoni il giornalista Lorenzo Vita, esperto di politica estera per IlGiornale.it e InsideOver – perché poi ogni Paese ha opinioni pubbliche distinte e necessità diverse. Certo è che quanto avvenuto a Praga non è troppo diverso da quanto visto in altre crisi e in altri contesti europei”.

 

“Il malcontento – ha proseguito Vita – cresce parallelamente alla crisi. Il governo ceco ha superato anche un delicato voto di sfiducia, ma il problema rimane soprattutto il divario tra una parte dell’opinione pubblica e le scelte del governo, che appaiono diametralmente opposte e che sono ritenute una delle cause dell’attuale situazione economica. Il governo Fiala si è esposto durante la guerra in Ucraina con il pieno sostegno a Kiev, all’Ue e alla NATO e sposando la linea dell’intransigenza nei confronti della Russia. La piazza, che non rappresenta certo tutto il popolo ma una parte non irrilevante di esso, vuole il contrario: non solo le dimissioni dell’esecutivo, ma anche addirittura la fine di questa politica estera”.

 

Si può quindi dire che forse a Praga è andata in scena la prima espressione di malcontento per le attuali politiche intraprese dall’Ue in merito la guerra in Ucraina. E questo spiega e in qualche modo giustifica quindi l’attenzione risposta verso la piazza ceca. A sorprendere è stato soprattutto il fatto che una manifestazione del genere abbia avuto luogo nell’Europa dell’est. In quella parte del continente cioè teoricamente più ostile a Mosca e in cui l’opinione pubblica ha visto nell’invasione russa dell’Ucraina un forte motivo di allarme.

 

“L’Europa orientale in questa fase storica è un termometro importante della situazione del continente – ha infatti dichiarato Lorenzo Vita – In primis perché si trova al confine con la Russia, quindi naturalmente è più che sensibile a quanto accade tra Mosca e l’Occidente. Inoltre, i Paesi della regione hanno subito le invasioni russa e sovietica nel corso della loro storia, dunque hanno nel dna una precisa immagine del loro gigantesco vicino e non è un caso che siano entrati in massa nell’Alleanza Atlantica e in Ue”.

 

“Se in questi Paesi – rimarca Vita – inizia a sgretolarsi la politica antirussa, specie in Stati dove non c’è nemmeno una minoranza russofona che possa essere considerata come “quinta colonna”, significa che il malcontento è diffuso e può replicarsi. A maggior ragione se poi, come dicono molti analisti, questa divisione delle società diventa un vero e proprio obiettivo della guerra ibrida russa”.

 

Occorre adesso chiedersi cosa accadrà. Se cioè la manifestazione di Praga è destinata a essere un episodio isolato oppure se, in Repubblica Ceca così come altrove, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio movimento. Secondo Lorenzo Vita “quanto avvenuto a Praga non è troppo diverso da quanto visto in altre crisi e in altri contesti europei”. Si palesa cioè “un fronte trasversale di lotta e di protesta, di destra come di estrema sinistra – spiega il giornalista – che chiede risposte a un problema di cui viene additato il governo e il sistema di cui fa parte. E la crisi energetica, arrivata dopo quella per il Covid, può essere una miccia molto pericolosa perché decisamente trasversale in tutti gli strati sociali, dall’imprenditoria alla classe media fino a quella più povera”.

 

“Per certi versi – ha concluso Vita – è molto simile ad altri fenomeni cosiddetti populisti che hanno rappresentato momenti di rottura interni all’Ue: penso ai gilet gialli. Di base c’è una richiesta di risposte certe e rapide a una crisi profonda in cui il governo non è tanto considerato inadeguato, ma addirittura colpevole: chi lo guida e anche il sistema politico internazionale di cui fa parte”.