Guerra fredda infinita

Per alcuni la guerra fredda 2.0 tra Occidente e Russia ha avuto inizio nel 2014, con Euromaidan. Per taluni nel 2008, con l’invasione russa della Georgia. E per altri ancora nel 2007, durante la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Ma la verità è che è sbagliato mettersi alla ricerca di un punto di inizio, di un casus belli, perché la guerra fredda non è mai realmente finita.

Corsi e ricorsi storici

Si dice che la storia non sia altro che un moto ciclico, ripetitivo, che periodicamente partorisce dei travolgenti déjà-vu, o meglio dei déjà-vecu, al cui inganno nessuno riesce a sottrarsi. È la maledizione dell’eterno ritorno di Friedrich Nietzsche. È il dramma del serpente Uroboro, condannato a mordersi la coda. È l’alternanza delle ere cosmiche delle civiltà precolombiane. È la Ruota della vita del buddhismo. È il ciclo di vita, morte e rinascita del saṃsāra.

La storia non è nient’altro che un ciclo, questa è la conclusione alla quale son giunti i mistici e i filosofi di ogni tempo e civiltà, ed esiste un modo per dimostrare la validità di questa teoria, che è molto più di una teoria. Quel modo è la ricostruzione delle relazioni tra l’Occidente e l’Impero russo, che vivono di guerre fredde cicliche e contenimenti periodici da quando il fato ha voluto che le loro strade si incrociassero.

Passano i secoli, cambiano i comandanti al timone, ma la sostanza alla base della rivalità tra i due mondi, Occidente e Russia, permane immutata, inalterata, tanto che non è raro che uno stesso episodio possa ripetersi nel tempo. E come e perché accada è piuttosto chiaro: ogni potente ricorre ai machiavelli dei predecessori facendo leva sull’assenza di memoria storica delle masse, che vivono di immanenza e ignorano la trascendenza del passato.

Nel caso di Russia e Stati Uniti, due imperi in guerra dal diciannovesimo secolo, i déjà-vecu non mancano. Un esempio? Il Russiagate del 2016, lo scandalo elettorale più grave della storia degli Stati Uniti, che altro non è stato se non una riedizione contemporanea del Russiagate del 1828. Contesti diversi, personaggi differenti, ma messa in scena incredibilmente simile: il repubblicano John Quincy Adams accusato del democratico Andrew Jackson di essere il “magnaccia dello zar” e parte integrante di un vasto complotto con la Russia avente quale fine ultimo l’indebolimento dell’America. La stampa supporta Jackson, spacciando bufale e indiscrezioni per verità dogmatiche, mentre le strade ribollono e tra repubblicani e democratici è violenza tanto verbale come fisica.

E che dire del Lungo telegramma di George Kennan del 2 febbraio 1946, la cui lettura persuase la Casa Bianca a decretare l’avvio della guerra fredda con l’Unione Sovietica? Un secolo prima, più precisamente nel 1812, Napoleone avrebbe legittimato la campagna di Russia facendo leva su un documento di simili dimensioni e medesimo contenuto: il cosiddetto Testamento di Pietro il Grande, un falso storico a cura di Michał Sokolnicki.

Kennan parlava di Mondo libero minacciato dall’Idea comunista, Sokolnicki di Illuminismo in pericolo a causa dell’Idea autocratica. Kennan parlava di contenimento inevitabile per fermare l’innata propensione all’espansionismo del popolo russo, Sokolnicki di guerra per lo stesso motivo. I moniti di entrambi, anche se in maniera diversa, incoraggiarono i capi dell’Occidente ad agire con durezza e le masse a supportare entusiasticamente il corso politico.

Anche il regime sanzionatorio e la dottrina del contenimento, che in Russia è nota come accerchiamento, non sono che qualcosa di già visto per i conoscitori della storia. Per quanto riguarda il primo: oggi è lo schema di sanzioni euroamericano che ha de facto creato una cortina di ferro economica tra le due Europe, ieri fu il Blocco continentale di Napoleone. E per quanto concerne il secondo: oggi è l’Alleanza Atlantica che inibisce ogni tentativo di espansione russa verso Europa orientale e Balcani, riducendone la proiezione sul Mar Nero, e ieri fu la Grande coalizione durante la guerra di Crimea per fermare l’avanzata del Cremlino negli stessi teatri.

Bellum perpetuum

Un ciclo. La storia non è che un ciclo. E le relazioni tra Occidente e Russia, costellate di remake da premio Oscar, sono la prova corroborante, inconfutabile e incontrovertibile, di questa natura ripetitiva del moto storico. E scrivere della ricorrenza storica è essenziale al fine della comprensione della complessità delle relazioni tra Occidente e Russia, che mai sono state semplici e sempre son state conflittuali.

Lo aveva preconizzato Alexis de Tocqueville, ne La democrazia in America (1835), che queste due civiltà avrebbero combattuto “per i destini del mondo” e così è puntualmente accaduto. Ma la domanda è: la guerra fredda è realmente finita il 26 dicembre 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica? E se sì, è ricominciata nel 2014 a causa della rivoluzione ucraina?

Alcuni credono che il confronto egemonico russo-americano, che tra fine 2021 e inizio 2022 ha raggiunto un picco di intensità straordinario, sia nato a Kiev tra il 2013 e il 2014 nel corso delle maxi-sollevazioni popolari che, prendendo piede nelle celeberrima Majdan Nezaležnosti, culminarono nella fuga di Viktor Janukovyč e nell’entrata dell’Ucraina nell’orbita occidentale.

Altri no: pensano che la rottura sia avvenuta nel 2008, anno dell’invasione russa della Georgia. Altri ancora, infine, tendono a rammentare il discorso di Vladimir Putin alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2007. Un vero e proprio manifesto politico contro l’unipolarismo e l’allargamento dell’Alleanza Atlantica nello spazio postcomunista, condito di disillusione verso l’Occidente e di una voglia di rivalsa sottovalutata dai più.

La verità è che sono tutti in errore, che è giunto il momento di chiudere la ricerca di quella “data del destino”, perché non è in corso nessuna guerra fredda 2.0: questa è la guerra fredda tra Occidente e Russia, la stessa di ieri.

Le guerre fredde, ugualmente a quelle calde, attraversano delle fasi evolutive e fra il 1991 e il 2014 è accaduto che il confronto egemonico tra i due blocchi è entrato in dormiveglia. Mai del tutto morto, come dimostrato da guerre per procura, rivoluzioni colorate e cambi di regime, il conflitto è stato a bassa intensità perché la Russia non aveva gli strumenti per reagire all’avanzata euroamericana all’interno del proprio lebensraum. Avanzata avvenuta per tappe, quando silenziosamente – come in occasione degli allargamenti dell’Alleanza Atlantica – e quando rumorosamente – guerre iugoslave e cambi di regime nello spazio postsovietico –, che prima o poi, assicurò un iracondo Putin nel 2007, avrebbe avuto ripercussioni per l’Occidente e la pace mondiale.

1999, l’anno del risveglio

Per capire come si è arrivati agli eventi del 2022, con un tentativo di rivoluzione colorata nel quieto Kazakistan e un’escalazione senza precedenti ai confini del Vecchio Continente, non si deve posare lo sguardo su Majdan Nezaležnosti. Si deve tornare molto più indietro: al 1999. Si deve tornare alla sera del 31 dicembre 1999, quando un cupo Boris Eltsin rassegnava le dimissioni in mondovisione passando scettro e corona dell’Impero a un silovik fino ad allora sconosciuto ai russi e al resto del mondo: Vladimir Putin.

31 dicembre, una data simbolica, portatrice di un messaggio potente: cambiamento. Cambiamento di cui l’Occidente ha imparato a conoscere vastità e significato soltanto qualche anno più tardi, una volta terminata da Putin la necessaria opera di stabilizzazione domestica: fine dell’inazione e dell’immobilismo dinanzi agli assalti al cortile di casa della Russia e, dunque, ritorno progressivo agli storici livelli di bellicosità.

Ma il 1999 è stato fatidico anche per un altro motivo: ha portato per la prima volta sotto i riflettori il confronto tra l’Impero americano e l’Impero celeste, nato durante il Secolo dell’umiliazione, sepolto dalla stregoneria diplomatica di Henry Kissinger e risorto inevitabilmente con l’estinzione dell’Unione Sovietica.

Nel 1999, dopo un decennio di schermaglie economiche, di dispute commerciali e di dispetti diplomatici, gli Stati Uniti bombardavano l’ambasciata cinese di Belgrado nel contesto delle guerre iugoslave lasciando a terra tre morti e venti feriti. Un tragico errore, provocato dall’utilizzo di mappe sbagliate, secondo Bill Clinton. Un attacco deliberato, avvenuto su uno sfondo ben preciso, secondo il PCC – e diverse inchieste giornalistiche.