Intervista alla senatrice Marinella Pacifico: “Occorre muoverci senza ambiguità”

Intervista alla senatrice di Coraggio Italia, componente della commissione esteri e molto attiva nei rapporti con l'altra sponda del Mediterraneo. Con lei abbiamo parlato della situazione internazionale, a partire dalla crisi in Ucraina, così come delle vicende interne riguardanti il caos in commissione esteri: "Ci siamo lasciati alle spalle una triste vicenda"

La prima domanda la vorrei dedicare al tema più dibattuto del momento, ossia la guerra in Ucraina: in questi giorni si assiste all’avanzata russa nel Donbass, mentre sono pochi gli spiragli lasciati alla diplomazia. Qual è il suo giudizio su questa precisa fase storica?

 

“Il momento storico che stiamo vivendo ci chiede di muoverci senza ambiguità e con compattezza a sostegno dell’azione internazionale intrapresa dal governo Draghi. L’Italia attraverso il suo appoggio all’Ucraina, e confermando una posizione atlantista ed europeista, ha ottenuto credibilità come interlocutore affidabile nella ricerca della pace a livello internazionale. Lo abbiamo visto in più occasioni, non ultimi, i colloqui telefonici di qualche giorno fa tra Draghi e Putin. Dobbiamo impedire che la crisi umanitaria continui ad aggravarsi, raggiungendo il prima possibile un cessate il fuoco e facendo ripartire con forza i negoziati. Non ci dimentichiamo che la crisi in Ucraina ha ripercussioni globali con gravi conseguenze sull’economia europea, ed in particolare per il nostro Paese, ma anche in altri scenari di crisi in Africa e Medio Oriente, dove la Russia, così come la Cina, già da tempo si è fatta spazio come nuovo attore tra quelli tradizionalmente e storicamente coinvolti”.

 

In merito al possibile invio di armi a favore di Kiev qual è la sua posizione? Cosa pensa debba fare l’Italia in questo momento?

 

“Dipende dalla tipologia e dalla natura di armi che vengono fornite. Se parliamo dell’invio di armi difensive italiane all’esercito ucraino, questo rientra nel dettato della nostra Costituzione che prevede di estendere l’aiuto ai Paesi aggrediti. È innegabile che l’Ucraina sta subendo un’aggressione non provocata da parte della Federazione Russa. Un dettaglio decisivo che ha delineato i passaggi governativi e parlamentari. L’Italia non può tirarsi indietro dalle proprie responsabilità nei confronti dei propri alleati. Ecco perché dobbiamo continuare a muoverci nella direzione intrapresa. Voglio ricordare che le due misure di assistenza adottate lo scorso 24 maggio dal Consiglio dell’UE a titolo di Fondo Europeo per la Pace (EPF) ad ulteriore sostegno delle capacità e resilienza delle forze armate ucraine per difendere l’integrità territoriale e la sovranità del loro paese, aiuteranno Kiev a proteggere la popolazione civile. L’Italia ed i nostri partner europei sono determinati a continuare tali forniture fino al raggiungimento della pace attraverso credibili negoziati. Ovviamente spetta all’Ucraina decidere in che modalità e che tipo di pace accettare. I nuovi fondi stanziati a sostegno delle forze militari ucraine sono destinati ad attrezzature militari progettate e concepite solo per scopi difensivi, mentre 10 milioni copriranno la fornitura di attrezzature, come ad esempio dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso, e carburante”.

 

La crisi in Ucraina, come si sa, sta avendo strascichi sugli approvvigionamenti alimentari soprattutto in un’area delicata come il Magreb: c’è realmente il pericolo di una crisi senza precedenti?

 

“La crisi è già iniziata. Oltre 25 milioni di tonnellate di grano sono bloccate nei silos dell’Ucraina, mentre secondo la FAO, 13 milioni di persone in più potrebbero soffrire la fame tra il 2022 e il 2026 a causa della guerra. Nonostante ciò che Putin dice, condivido quanto affermato recentemente dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che questi non sono danni collaterali, ma una strategia intenzionale ben congeniata dal Cremlino. È necessario rafforzare il dialogo e la collaborazione con i nostri partner nordafricani per garantire la sicurezza alimentare di milioni di persone. Dobbiamo sostenere questi Paesi, con una economia già fragile e una situazione politica precaria, ad incentivare la produzione locale, anche attraverso progetti a cui le nostre imprese potrebbero partecipare, con il loro know-how ed esperienza. Ma prima di tutto, per poter essere in grado di aiutare gli altri, dobbiamo lavorare a livello nazionale. Dobbiamo tornare ad investire sull’agricoltura con leggi che favoriscano gli investimenti. Per inseguire una linea attenta al profitto immediato, molte aziende hanno preferito acquistare grano e altre materie prime sul mercato mondiale perché i prezzi erano più bassi. Le crescenti difficoltà e la mancanza di un piano strategico nazionale, inoltre, scoraggiano i giovani agricoltori che rischiano di dover abbandonare le produzioni. Secondo gli ultimi dati di Coldiretti, oggi il nostro Paese importa il 53% del mais, il 64% del grano tenero e il 90% circa della soia. Negli ultimi dieci anni, in Italia si è perso quasi mezzo milione di ettari coltivati, bisogna porre fine alle politiche miopi del passato, favorendo gli accordi di filiera tra produttori agricoli e industrie, così da scoraggiare pratiche sleali e una diversa politica dei prezzi per garantire la sostenibilità finanziaria dei produttori”.

 

Se i Paesi nordafricani dovessero implodere, quali conseguenze avremmo in Italia?

 

“La riduzione delle forniture di cereali e il conseguente aumento dei prezzi a livello mondiale rischia di avere effetti disastrosi, in particolare per quelli dell’area MENA, dove cresce il pericolo di tensioni politiche e sociali, con la conseguente intensificazione dei flussi migratori verso le nostre coste, a cui stiamo già assistendo. Oltre ad un maggior numero di sbarchi, la sicurezza e la stabilità di questi Paesi ci riguarda direttamente. La sicurezza dell’Italia è strettamente interconnessa con quanto accade in Nord Africa. Temo che, qualora dovesse venire a mancare il pane, la farina, o altri generi alimentari di base, in Paesi come Libia e Tunisia, che già vivono sfide considerevoli a livello politico, la situazione potrebbe implodere. Nuove proteste o conflitti armati darebbero l’opportunità a gruppi terroristici di approfittare del caos e profliferare come è già avvenuto in passato. Questo non lo possiamo permettere”.

 

Come giudica la visita dei giorni scorsi del presidente algerino a Roma?

 

“La visita del presidente Abdelmadjid Tebboune in Italia conferma la solidità dei rapporti tra i nostri Paesi che intendiamo rafforzare in molti ambiti compreso quello economico, ma soprattutto energetico, oltre a rilanciare una rinnovata cooperazione strategica tra Algeri e Roma alla luce delle motivazioni che ho menzionato pocanzi. In questo momento è fondamentale investire in piani di inter-connettività che vedano l’Italia protagonista, in sinergia con imprese e associazioni, così da creare un’unica rete elettrica per i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Terna ha annunciato lo scorso dicembre di essere pronta a mettere in cantiere il Thyrrenian link, il maxi progetto che collegherà Campania, Sicilia e Sardegna. L’Algeria si accinge a divenire una sorta di ‘batteria elettrica’ per l’Europa, connettendosi alla Sardegna attraverso un cavo sottomarino con una capacità di 1000 megawatt. Con la crisi ucraina, il paese maghrebino si è già impegnato a fornirci 2 bcm l’anno in più, principalmente sfruttando la capacità residua del gasdotto Transmed che passa tramite la Tunisia per arrivare a Mazara del Vallo in Sicilia. Come componente della Commissione Esteri, ho insistito molto sul ruolo di Algeri per ottenere in tempi non troppo dilatati il transito di altri 10 miliardi di metri cubi di gas”.

 

Ci sono i margini per arrivare a un piano energetico senza gravi conseguenze, soprattutto in termini economici, per i cittadini?

 

“I margini ci sono. Oltre all’accordo con l’Algeria, il Governo sta negoziando un memorandum con la Libia sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. La Tunisia è luogo ottimale per la produzione di idrogeno verde a basso costo, puntando al 30% delle energie rinnovabili nel suo mix energetico entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo, il governo e la società nazionale dell’energia, STEG, hanno già lanciato una serie di gare per progetti solari ed eolici in tutto il paese. Attraverso la nostra eccellente diplomazia, è opportuno incoraggiare il ruolo dell’Italia nella realizzazione di tali opere, a vantaggio dei nostri Paesi in termini economici, occupazionali ed energetici. Auspico inoltre maggiori coinvolgimento e collaborazione con il settore privato, soprattutto nello sviluppo di progetti di esportazione, contribuendo in modo significativo alla crescita socioeconomica e alla stabilità del nostro Paese e dell’intera regione. Se alcuni progetti non richiedono tempistiche eccessivamente lunghe, sul lungo termine, stiamo anche valutando la possibilità di interconnessioni dalla Libia verso la Sicilia, attraverso il Submarine Sahara Green Cable Project, un progetto presentato da alcuni ricercatori dell’Università di Sabha, ma la cui realizzazione dipende ancora dalla stabilità che il Paese potrà raggiungere. Tutti questi programmi, tenendo conto dei cambiamenti climatici e soprattutto del quadro geopolitico divenuto improvvisamente molto più pericoloso e incerto, avranno un vantaggio enorme per i cittadini in termini di costi e di opportunità lavorative”.

Lei conosce molto bene il contesto tunisino: cosa ci può dire di quanto sta accadendo a Tunisi in queste settimane?

 

“Il presidente della Tunisia, Kais Saïed, che lo scorso 25 luglio è stato costretto a sospendere il parlamento, poi sciolto, sta lavorando ad un referendum per una nuova Costituzione entro luglio ed elezioni legislative a dicembre. Saïed, che ho avuto il piacere di incontrare a Roma, durante il conferimento del dottorato Honoris Causa alla Sapienza Università di Roma, ha annunciato questa tabella di marcia per riportare la giovane Repubblica alla regola democratica entro la fine dell’anno. Nel perseguire questo processo di stabilizzazione, ha supervisionato il 21 maggio la riunione del Consiglio dei ministri, che si è concentrata su due temi: il decreto relativo alla creazione della Commissione consultiva per la stesura di una nuova Costituzione, e la convocazione degli elettori per il referendum del 25 luglio per garantire la più ampia partecipazione. È chiaro che dalla stabilità della Tunisia dipende quella dell’intera area. Auspico che il presidente, forte del sostegno popolare, riesca a completare la sua road-map, nonostante siano molte le sfide che gli si profilano, dall’opposizione interna, alle manovre di attori statali e non statali stranieri interessati a mantenere lo status quo caratterizzato dall’incertezza”.

 

Tornando per un momento in ambito italiano, come giudica quanto accaduto in questi giorni all’interno della commissione esteri di cui fa parte? 

 

“Ci siamo lasciati alle spalle una triste vicenda, ma dopo la tempesta torna sempre il sereno. La Commissione Esteri come istituzione deve essere di sostegno all’azione di governo, specialmente in questo delicato momento storico. È stato necessario intervenire repentinamente con il consolidamento di una struttura istituzionale fondamentale per la politica Estera dell’Italia. Con la nomina di Stefania Craxi a presidente della commissione si è chiuso un pericoloso tentativo di destabilizzazione del Paese e il rischio di perdita di credibilità internazionale. Me lo lasci dire, da ex cinque stelle, il movimento non ha saputo dimostrare nemmeno in questa occasione il senso di responsabilità necessario. Purtroppo, come ho detto recentemente in occasione della presentazione delle liste a sostegno di Maurizio Lucci a sindaco di Sabaudia, l’onestà è imprescindibile nell’amministrazione della res publica, ma non abbastanza. È fondamentale – a me questa postura è rimasta – ma ho compreso quanto siano determinanti capacità, conoscenze, impegno, talento, e comprensione di determinate tematiche. Con la loro rinuncia alla Commissione esteri, che non mi ha affatto sorpreso, hanno dimostrato due cose: di non avere nessuno con tali requisiti o un segnale alla maggioranza del netto rifiuto della linea di Governo chiaramente atlantista. Comunque, fortunatamente, è acqua passata. In commissione siamo già a lavoro per mantenere alto il prestigio e la credibilità del nostro Paese sul panorama internazionale”.