Si è detto molto sulla vicenda della giovane Giulia Cecchettin. E, come spesso capita quando il nostro Paese prova a unirsi in un dolore, si cade e si scade nella retorica. Un elemento quest’ultimo capace di trasformare un momento di raccoglimento e riflessione in un’ondata di frasi e citazioni dal tenore poco più che banale.
Ma quello di diventare retorici e patetici è un vizio tutto nostrano, un marchio non voluto che fa parte del nostro modo di essere. Dunque, occorre farsene una ragione. C’è però una parola che, in queste situazioni, occorrerebbe togliere dallo stesso vocabolario. Ed è quella di raptus. Si è parlato di raptus di gelosia, di azione dovuta a un momento di rabbia, a una fase cieca transitoria in grado di generare la tragedia. A parlare di raptus però si rischia di generare confusione.
I momenti di rabbia capitano a tutti: una delusione, un trauma, una notizia non attesa, sono elementi questi che nella testa possono far saltare fuori i nervi. Ma un conto è battere i pugni su una scrivania, un altro è mettere le mani addosso a una persona o aggredirla mortalmente. Il ragazzo che ha ucciso Giulia, legato in precedenza alla ragazza da una relazione sentimentale, non ha avuto un raptus. Ha drammaticamente tenuto un comportamento criminale. Che è cosa ben diversa dall’avere un momento di sbandamento.
Uscire un coltello per uccidere una ragazza di 22 anni, non è un’azione figlia dell’attimo di rabbia. Al contrario, è un gesto lucidamente folle e che non tiene conto delle conseguenze per la vittima, per i suoi parenti e anche per sé stesso. Elementi che denotano per l’appunto un atteggiamento criminale. Credo sia importante tenere il punto su questa distinzione. Oggi, in una fase in cui si tende a giustificare tutto, se si continua a parlare di raptus a proposito degli omicidi il rischio è quello di giustificare indirettamente gli atti criminali. Anche, ovviamente, senza volerlo.
Un conto è la rabbia, un conto è l’accanimento contro la vittima. Un conto è provare sentimenti rancorosi, un conto è aggredire qualcuno e ucciderlo senza provare alcuna pietà. Forse nel processo uscirà fuori che nel caso in questione non c’era premeditazione ma, a prescindere, chi esce da casa con l’intenzione di uccidere e di alzare le mani non può invece essere in alcun modo giustificato. La vicenda che riguarda la giovane Giulia ha una natura drammaticamente criminale: non c’entrano i raptus o le fasi di rabbia, c’entra invece un tragico comportamento criminale di un giovane che poi, noncurante di ciò che ha fatto, ha provato a non farsi più rintracciare fuggendo all’estero.