Una nuova guerra all’orizzonte?

Nei giorni scorsi sono stati approvati (come ampiamente prevedibile) in Venezuela alcuni referendum relativi all’annessione al Paese sudamericano della Guayana Essequiba. Una regione a est del territorio venezuelano, contesa con l’ex Guayana britannica. Un’area quest’ultima che costituisce oggi uno Stato indipendente, Guayana per l’appunto, con capitale Georgetown.

Per molti, il via libera popolare dona a Maduro l’autorizzazione definitiva ai suoi piani di attacco. Il presidente venezuelano ha già inviato molte truppe verso il confine, il suo intento sarebbe quello di invadere la regione contesa per annetterla definitivamente. In poche parole, una nuova guerra potrebbe essere alle porte. Una guerra di cui si potrebbe fare volentieri a meno.

Ne farebbero volentieri a meno i soldati venezuelani, anche loro in difficoltà economica come il resto del Paese e timorosi di non ricevere rifornimenti nel momento in cui dovessero effettivamente essere paracadutati tra le giungle dell’Essequiba. Ne farebbero volentieri a meno, a dispetto dei risultati del referendum, i cittadini venezuelani. Al pari dei cittadini della Guayana, siano essi abitanti di Georgetown o dei tanti piccoli villaggi dell’area contesa. E ne farebbe a meno la comunità internazionale, già alle prese con molte gravi crisi.

Ma oramai, da due anni a questa parte, da più parti emerge la volontà di regolare i conti senza l’ausilio della politica. E così Maduro, alle prese con la crisi interna e con lo spettro di una mancata rielezione, ripesca dai cassetti una disputa risalente a quasi due secoli fa. Quando nell’area i confini venivano tracciati dagli antenati degli attuali Stati sudamericani.

Se guerra sarà, a rischio ci sono delicati equilibri interni al continente. In primis perché in ballo ci sono i confini stessi del sud America. Anche se geograficamente la Guayana è sudamericana, non lo è a livello culturale e politico. La lingua ufficiale del Paese è infatti l’inglese, gran parte dei suoi abitanti hanno discendenze africane, esattamente come avviene in buona parte delle isole caraibiche. Con la peculiarità inoltre di avere un’importante comunità di origine indiana, anch’essa erede del periodo della colonizzazione. I britannici infatti hanno importato per decenni manodopera (e schiavi) dal continente africano e dalle colonie indiane. Non ultimo, occorre sottolineare che l’attuale presidente, Irfaan Ali, è un rappresentante della comunità musulmana ed è il primo capo di Stato di religione islamica nell’area. Se il Venezuela quindi dovesse riuscire realmente a spostare i confini, allargherebbe il sud America in un’area che è invece un’enclave caraibico/nordamericana.

In secondo luogo, con Caracas in grado di regolare le dispute con la forza, altri Paesi sudamericani potrebbero fare altrettanto. Nel continente non mancano contese di confine, come quelle tra Perù ed Ecuador oppure tra Cile e Bolivia. La mossa di Maduro potrebbe avere quindi molte conseguenze. Il Brasile sta inviando rinforzi nelle aree confinanti con Venezuela e Guayana, più defilate le potenze internazionali. Ma solo per il momento.