L’Europa dopo la guerra in Ucraina

Non sappiamo come e quando finirà la guerra in Ucraina, ma qualcosa è più che certo: i posteri la considereranno uno spartiacque. Per l’Unione Europea, per l’Alleanza Atlantica, per la Russia e per il mondo ci sarà un prima e un dopo guerra in Ucraina.

di Brahim Ramli*

L’invasione russa dell’Ucraina avrà delle conseguenze significative sull’assetto geopolitico e securitario dell’Europa. Non è ancora chiaro l’obiettivo di Mosca in Kiev, sebbene una delle opzioni più caldeggiate dagli analisti sia quella che prospetta una disgregazione guidata dell’Ucraina, magari divisa lungo il corso del Dnipro, sul modello della Germania durante la Guerra fredda. Il motivo è evidente: trattasi di uno scenario che permetterebbe alla Russia l’instaurazione di una zona cuscinetto tra sé e i membri dell’Alleanza Atlantica. Inoltre, smembrando e occupando l’Ucraina, la Russia le impedirebbe di aderire alla Nato.

Indipendentemente dal risultato dell’invasione russa in Ucraina, l’architettura securitaria europea potrebbe subire una ridefinizione senza precedenti. In primo luogo, Vladimir Putin ha ridato vita alla Nato, dai più definita “obsoleta” e “in stato di morte celebrale” fino a qualche anno fa. Una condizione determinata dal fatto che con la caduta dell’Unione Sovietica venne a mancare il principio cardine per il quale la Nato era stata fondata, ovvero la difesa collettiva del territorio dell’Alleanza emblematizzata dall’articolo 5 del Trattato di Washington. Ed è precisamente questo articolo, il numero 5, che ha riacquisito l’importanza avuta durante la guerra fredda dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Ma che cosa statuisce il famigerato articolo 5? Esso prevede che un attacco contro uno o più membri dell’Alleanza sia da considerarsi come un attacco rivolto alla collettività, la quale è pertanto chiamata a replicare con una reazione comune di natura militare.

Nella lunga storia della Nato, solamente un membro ha invocato l’attivazione dell’articolo 5: gli Stati Uniti nel dopo-11 settembre 2001. Oggi, però, anche Polonia e Baltici – Estonia, Lettonia, Lituania – hanno preannunciato l’intenzione di impugnarlo qualora esigenze di sicurezza nazionale lo richiedessero.

Era dai tempi delle guerre iugoslave che la Nato non sperimentava un attivismo del genere nel panorama internazionale: livello di consultazioni tra i membri mai così intenso, spostamenti di truppe da ovest a est mai così massici. E tutto ciò è merito di Putin.

In secondo luogo, la guerra in Ucraina ha incoraggiato vari Paesi dell’Unione Europea a fare delle mosse inaspettate. La Germania, ad esempio, sembra pronta a rimettere in discussione molti dei principi-guida della sua politica estera degli ultimi trent’anni. Dopo aver aderito al fronte delle sanzioni, Berlino ha deciso di inviare armi letali all’Ucraina e si è anche mostrata disponibile a rivalutare l’uso degli impianti nucleari.

Ancora più sorprendenti, poi, sono le prese di posizione di Paesi storicamente neutrali come la Finlandia, la Svizzera e la Svezia. In Finlandia, in pochi giorni, sono state raccolte le firme necessarie ad avviare un dibattito in sede parlamentare sull’adesione alla Nato – se succedesse sarebbe una decisione storica, carica di conseguenze. Anche in questo caso, il merito è del Cremlino, dato che per decenni la Finlandia aveva rifiutato di avere un simile dibattito. L’invasione russa dell’Ucraina, però, ha fatto cambiare idea all’opinione pubblica finlandese, che oggi sta esercitando pressioni sul governo affinché abbia luogo un dibattito serio e svelto.

Anche nella vicina Svezia è cresciuto il sostegno all’idea di entrare nella Nato. E, infine, la Svizzera ha accettato di imporre sanzioni contro la Russia: una prima storica, un’eccezione alla sua politica di neutralità senza precedenti. Si pensi, a titolo esemplificativo, che la Svizzera restò neutrale persino durante le due guerre mondiali.

 

*Brahim Ramli è analista geopolitico formatosi tra Torino, Parigi, Ginevra e Beirut, è specializzato in geopolitica, guerre ibride, risoluzione dei conflitti e sicurezza internazionale. Si occupa principalmente di relazioni internazionali nello spazio MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Per ragioni di studio, ricerca e lavoro ha vissuto tra Europa, Vicino Oriente e Africa settentrionale. Ha lavorato per la Nato.