Bennett, Putin e il fattore Giacobbe

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha effettuato una missione a sorpresa a Mosca la sera del 5 marzo. Una missione a sorpresa perché nascosta al pubblico sino a fatto compiuto – ne erano a conoscenza soltanto Stati Uniti, Francia e Germania. E perché ha avuto luogo di sabato, di shabbat, il giorno del riposo assoluto per antonomasia per il popolo ebraico.

Il tentativo di Bennett è encomiabile, e avviene mentre in Europa qualcuno ha cominciato ad invocare l’intermediazione potenzialmente salvifica della carismatica Angela Merkel, ma può stupire soltanto la stampa generalista e i non addetti ai lavori. Perché oggi è Bennett, ieri fu Benjamin Netanyahu. Perché l’Ucraina è simultaneamente culla della Terza Roma, mela d’oro della Sublime Porta e tetto antidiluviano della progenie di Giacobbe.

Il significato del viaggio

Dinanzi ai rischi per la sicurezza fisica della comunità ebraico-ucraina sottolineati dal Mossad, e su richiesta esplicita del correligionario Volodymyr Zelenskij, il primo ministro israeliano ha violato l’obbligo del riposo assoluto dello shabbat, tra le colonne portanti dell’identità giudaica, per recarsi a Mosca e discutere con Vladimir Putin di Guerra e pace in Ucraina.

Quella di Bennett, in realtà, non è stata una violazione vera e propria dell’obbligo di shabbat: lo ha portato a compimento. È la stessa Halakhah a prevedere il primato della salvaguardia della vita umana sull’osservanza della stragrande maggioranza dei 613 mitzvòt prescritti dalla Torah. E anche il Levitico (19:16) prescrive all’Ebreo il dovere di “non cooperare alla morte del prossimo”. La vita prima di tutto il resto, o Pikuach Nefesh, come dicono gli ebrei.

Contestualizzare è importante: il fatto che la fede sia sul viale del tramonto in Occidente non significa che ciò valga anche nel resto del mondo. Perché esistono luoghi, come Israele, dove la fede – l’ebraismo – permea in maniera pervasiva cultura, società e politica. E dove il primo ministro – Bennett – indossa sempre una kippah, come se fosse un rabbino, per palesare al mondo il suo rispetto verso Dio.

È soltanto a partire da queste premesse sull’ebraismo che si può comprendere pienamente la rilevanza del gesto di Bennett: se è partito, rompendo il suo shabbat, è perché ha avuto delle ragioni per farlo. O ha creduto di averle. Prima di dirigersi a Mosca, del resto, ha avuto una telefonata di coordinamento con Washington. E siccome nella politica la simbologia è tutto, poiché i non detti dicono più delle parole, la scelta di partire di sabato può avere un solo significato: Bennett è convinto di poter essere quel paciere che il mondo (e la stessa Russia) sta cercando.

Le ragioni di Israele

Le ragioni del protagonismo israeliano nella questione ucraina sono molteplici e mescolano realpolitik e talmudpolitik. Realpolitik perché fermare la guerra equivale a impedirne un’esiziale internazionalizzazione, nonché ad ottenere prestigio e riconoscimento presso la comunità internazionale. Talmudpolitik perché l’intermediazione avviene su richiesta di un correligionario, Zelenskij, e perché in gioco c’è (anche) la messa in sicurezza della seconda comunità ebraica più folta del Vecchio Continente – composta dalle 70mila alle 400mila persone.

Nulla di nuovo né di sorprendente, comunque, perché Bennett non sta facendo altro che seguire le orme del predecessore, Netanyahu, che fu chiamato in causa da Zelenskij durante la crisi russo-ucraina dell’aprile 2021.

Bennett potrebbe avere successo laddove ha fallito Emmanuel Macron? Dipende: sì e no. No perché la Russia ha una lunga e consolidata storia di diplomazia indipendente, cioè di conflitti e contenziosi risolti in totale autonomia e declinando ogni offerta di intermediazione – più una potenza è grande, più associa l’aiuto alla debolezza. Sì perché è lo stesso Cremlino a essere alla ricerca di una via di uscita, che non comporti l’intervento diretto degli Stati Uniti, e perché Israele ha alcune peculiarità di cui gli altri aspiranti pacieri sono mancanti:

  • È l’unico giocatore che può vantare delle ottime relazioni con entrambi i belligeranti, Russia e Ucraina, e con lo spettatore attivo, gli Stati Uniti;
  • Ha molta più autonomia e libertà di manovra rispetto alle potenze dell’Unione Europea;
  • È stato dichiarato appendice del «mondo russo» da Putin per ragioni etno-demografiche – il 15% della popolazione ha origini russe – e linguistiche – il russo è la terza lingua più parlata dopo ebraico e arabo;

Cosa può offrire Bennett a Putin? Tutto e niente. Niente perché Israele non è parte interessata dal conflitto. Tutto perché è possibile, o meglio è probabile, che Bennett abbia agito su mandato di Biden e che abbia portato al capo del Cremlino una proposta di pace da parte dell’amministrazione statunitense – legata, forse, all’accordo sul nucleare iraniano. La domanda è: Putin accetterà?