Ucraina, dove finisce e inizia tutto

La guerra in Ucraina sarà ricordata dai posteri come lo spartiacque di questa parte di XXI secolo e dagli ucraini come l'equivalente di Budapest 1956. Superare questo trauma non sarà facile. Da dove ripartire nel dopoguerra? Prendendo atto, magari, che anche l'Occidente ha avuto la sua parte di responsabilità.

Sergej Lavrov era stato laconico il 10 febbraio, in occasione di una bilaterale con l’omologa britannica Liz Truss, nel commentare lo stato delle relazioni tra Occidente e Russia: un dialogo tra un sordo e un muto. Impossibile comprendersi, dunque impossibile andare d’accordo.

Nulla di nuovo sotto il Sole, diranno i più, considerando che questi due universi civilizzazionali hanno sempre faticato a capirsi e che, non di rado, hanno risolto i disaccordi a mezzo delle armi. Il punto è che, rispetto al passato, comprendersi è diventato tanto arduo da sembrare realmente impossibile. Manca la voglia, sicuramente, ma mancano anche la preparazione e le qualità diplomatiche. Una combinazione letale che, lentamente ma inesorabilmente, ha condotto all’esplosione della guerra in Ucraina.

Russia e Ucraina, entrambe hanno ragione

È difficile dire chi abbia ragione e chi abbia torto, perché la verità è che tutti – sia i belligeranti sia i loro sostenitori – hanno ragioni e torti, meriti e colpe. Ma se i falchi non avessero sostituito i diplomatici, e se la miopia non si fosse imposta sulla lungimiranza, sarebbe stato possibile comporre questa lite, in maniera pacifica, molto tempo fa. Forse, anzi, non sarebbe mai nata.

L’Ucraina ha il diritto all’autodeterminazione, al perseguimento di una politica estera indipendente e a vedere rispettata la propria sovranità e la propria integrità territoriale.

La Russia ha il diritto ad esigere un estero vicino al riparo dalle fiamme della competizione tra grandi potenze e a lamentarsi per le promesse tradite. Perché i fatti parlano e dicono molto più delle parole: l’Alleanza Atlantica non ha mai nascosto di avere finalità di confronto e contenimento nei confronti della Russia, in quanto erede dell’arcinemica Unione Sovietica, e dal 1997 ad oggi si è espansa sino ad inglobare l’intero ex patto di Varsavia e senza celare l’ambizione di allargarsi nello spazio ex sovietico, in particolare a Ucraina e Georgia.

Il Cremlino aveva palesato il proprio malessere nei riguardi del mercato acquisti dell’Alleanza Atlantica sin dal 2007, anno del famigerato discorso-manifesto di Vladimir Putin alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, reagendo con una guerra al tentativo di allargamento in Georgia e con una micro-invasione alla rivoluzione colorata in Ucraina. Segnali. Moniti più che espliciti. Presagi di ciò che sarebbe potuto accadere qualora la Comunità euroatlantica avesse varcato la linea rossa.

Le nostre responsabilità

Putin risponderà al tribunale della storia per l’invasione dell’Ucraina, inaccettabile per i suoi fidi alleati – come Sergej Lavrov, escluso dal processo decisionale dopo il fallimento dei negoziati di dicembre-gennaio – e per l’opinione pubblica – come dimostrato dalle grandi dimostrazioni esplose a macchia d’olio in tutta la Federazione –, ma ciò non significa che l’Occidente non abbia la sua parte di responsabilità. E non significa, soprattutto, che l’imperialismo russo annulli tutti gli altri.

Quanto sta succedendo in Ucraina è politica di potenza, è difesa di spazi vitali, è salvaguardia di sfere di influenza, è atto disperato di un attore storico che, in quanto tale, ragiona e agisce secondo canoni caduti nell’oblìo nella poststorica Europa. Canoni che, però, continuano a caratterizzare e a plasmare l’operato di tutti quei giocatori che dalla storia non sono mai usciti.

Si pensi agli Stati Uniti, che mai hanno rigettato la dottrina Monroe – l’equivalente della sovranità limitata dell’Unione Sovietica, con la differenza di essere stata formulata nel 1823 e non nel 1968 –, e la cui storia è ricca di operazioni in stile Ucraina esperite allo scopo di riportare ordine nel cortile di casa. Qual è la differenza tra l’invasione russa dell’Ucraina del 2022 e l’invasione americana di Grenada del 1983? Cosa distingue l’invasione russa dell’Ucraina del 2022 dall’invasione americana di Panama del 1990?

Grandi potenze, potenze con una forma mentis imperiale, conoscono soltanto la diplomazia delle cannoniere e non sono alla ricerca di alleati, tantomeno di amici, quanto di vassalli. La Russia come gli Stati Uniti. La Cina come la Turchia. Cambiano i metodi, è diverso il curriculum antropo-psico-pedagogico, ma il fine è identico: egemonia.


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Tornando alle responsabilità dell’Occidente nello scoppio della guerra in Ucraina, che sono tante, il problema del Cremlino non è mai stato l’allargamento dell’Alleanza Atlantica stricto sensu. È stato il venire meno all’accordo tra gentiluomini di non espanderla nell’estero vicino russo. È stato il proliferare di cambi di regime e rivoluzioni colorate nello spazio postsovietico. È stato il rifiuto di porgere l’orecchio alle richieste provenienti dalla diplomazia russa in materia di armamenti dispiegati nel territorio dell’Alleanza Atlantica. È stato il rifiuto di riconoscere il diritto della Russia a possedere una sfera di influenza – sebbene gli Stati Uniti ne abbiano due, Europa e Americhe, che difendono manu militari ogniqualvolta sia necessario. Ed è stata l’incapacità di capire il Putin delle origini, un europeista col santino di Pietro il Grande che parlava di costruire un’Europa estesa da Lisbona a Vladivostok – parlando con Bill Clinton di adesione russa alla Nato e stringendo con l’Unione Europea gli accordi sugli spazi comuni – ed un liberale disposto ad integrare l’economia russa nell’architettura finanziaria globale occidentalo-centrica.

Se gli Stati Uniti avessero preferito la visione per il dopo-guerra fredda di Henry Kissinger a quella di Zbigniew Brzezinski, il padre dell’attuale grand strategy per l’Eurasia della Casa Bianca, alcuni degli attuali dissidi non sarebbero mai nati e per gli altri, invece, sarebbero state trovate soluzioni pacifiche e mutualmente vantaggiose.

Lo stesso Occidente, accecato dalla foga di traslare in realtà la visione di Brzezinski, non aveva capito di essere destinato a vincere la battaglia per l’Ucraina, che parimenti ad altri attori postsovietici era casa di forti, genuini e diffusi sentimenti russofobici – Euromaidan, del resto, non nacque nottetempo e non fu interamente artificiale in quanto poggiante su una base di consenso molto vasta –, e ciò ha condotto a dove siamo oggi.

Se è vero che la storia è la condanna della ripetizione degli errori, del ripetersi sotto nuove spoglie di tragedie e miserie, allora suicidi politici, pessime scelte geopolitiche e scarsa o nulla conoscenza dell’antropologia dell’homo russicus sono destinate a restare con noi. Ma se, per una volta, volessimo tentare di esorcizzare l’ingannevole eterno ritorno del saṃsāra, allora dovremmo guardare all’Ucraina più come ad un inizio che ad un capolinea. Dovremmo imparare dagli errori nostri, tenendo a mente quel “conosci il tuo nemico” di Sun Tzu e riscoprendo l’arte dimenticata di calarsi nei panni altrui. Dovremmo, in estrema sintesi, accettare che esistono Paesi che non possono entrare nell’Alleanza Atlantica, come l’Ucraina, la Bielorussia e la Georgia, ma per i quali è possibile soltanto un formato Finlandia. L’alternativa è una non-alternativa: è la guerra.