Siamo destinati a diventare una periferia?

L’altro giorno mi è capitato di affrontare un argomento relativo all’attuale andamento del settore del trasporto aereo in Italia. Un ex funzionario di Alitalia, Paolo Rubino, sulle colonne di Starmag ha riportato una frase sarcastica di Eddie Wilson, nuovo Ceo di Ryanair: “Cari italiani, comprate subito qualche guida di Francoforte e Monaco di Baviera, sono due città che a breve conoscerete molto bene”. Il riferimento è al fatto che tra non molto potrebbero non esserci più voli intercontinentali nei nostri aeroporti e saremo costretti a fare scalo in Germania.

Sarcasmo, ma anche inquietante profezia: Ita, la mini compagnia di bandiera nata dalle ceneri di Alitalia, al momento è ben lontana dall’essere competitiva con le “gemelle” europee e per di più è in corso una trattativa per l’ingresso come socio di maggioranza di Lufthansa. Ossia la compagnia di bandiera tedesca. I cui amministratori a tutto penseranno tranne che di rendere Ita una rivale della propria azienda. Anzi, come sottolineato da Wilson, è molto probabile che per raggiungere gli altri continente bisognerà fare uno scalo negli hub principali di Lufthansa.

Per un Paese come il nostro, rimanere senza voli diretti con il resto del mondo vuol dire una sola cosa: diventare periferia. Fra qualche anno, i turisti che vorranno vedere il Colosseo dovranno inevitabilmente passare da aeroporti di altri Paesi. Non solo dalla Germania, ma anche dalla Turchia oppure dagli scali mediorientali. Roma, nei programmi di viaggio dei vacanzieri, potrebbe essere solo l’ultima tappa di un lungo viaggio internazionale. E noi italiani, di conseguenza, per vedere il mondo dovremmo dipendere da scali situati fuori dai nostri confini.

Da qui la domanda: ma l’Italia è davvero diventata una periferia? Siamo cioè diventati un luogo della provincia europea da raggiungere solo dopo uno o più scali aerei? Siamo rimasti forse per decenni tranquilli e adagiati sugli allori ripetendo a noi stessi la centralità della nostra posizione geografica nel Mediterraneo, senza renderci conto che la plurisecolare storia contenuta lungo la penisola è prossima a diventare una mera meta di attrazioni per stranieri che in futuro avranno il coraggio (e i soldi) per prendere almeno due aerei.

Storia, lingua e cultura ultrasecolari sotto il profilo politico, economico e sociale potrebbero non valere più nulla. Non avranno il peso per mantenere una nazione come la nostra all’interno del ristretto palcoscenico dei principali attori internazionali. Un fatto che potrebbe rappresentare un vero e proprio problema esistenziale per uno Stato come il nostro, relativamente giovane e con meno di due secoli di vita.

Andrà quindi in questa maniera? Alla domanda in realtà è molto difficile rispondere. Perché il tema è molto complesso e non può essere espresso unicamente dall’esempio relativo al mercato aereo. E perché a essere complesso è il nostro Paese. Del resto è il destino della penisola navigare su due estremi: patria della bellezza, ma anche degli scempi paesaggistici, terra di letterati ma anche di un’opinione pubblica spesso troppo superficiale. L’Italia è tanto proiettata in avanti quanto ancora poggiata strenuamente su un passato che non c’è più. Paese complesso appunto, difficile da capire. Con un quadro dirigente che, tra tante altre disgrazie, a capire la complessità della penisola non ci prova nemmeno.