La Francia si sta abituando al caos

Quando sono esplosi i tumulti nelle banlieue parigine, subito con il pensiero si è andati agli eventi del 2005. E forse perché quelli furono veramente i primi a paralizzare la Francia. Prima di allora, le proteste d’oltralpe erano state sì importanti ma mai con la forza di quelle drammatiche settimane di 18 anni fa. Anche perché poco o nulla si era capito: si vedevano, giorno dopo giorno, giovani che si riunivano unicamente per sfasciare vetrine e saccheggiare.

Proteste a cui nessuno in Europa era abituato. C’erano sì stati i fenomeni relativi ai black block, come sperimentato in Italia in occasione del G8 di Genova del 2001. Ma in quell’occasione l’intento ideologico era ben palesato. Nelle periferie francesi, si notava (e si nota di nuovo oggi) unicamente rabbia, frustrazione e poi, nei casi più fiori controllo, semplice e violento vandalismo. A ben vedere però, a distanza di quasi due interi decenni quelli del 2005 non possono essere catalogati come il precedente più prossimo. Da anni la Francia è in profondo subbuglio.

Hanno iniziato, prima del Covid, i Gilet Gialli. Ogni sabato, decine di manifestanti per diverse settimane tra il 2018 e il 2019 si sono radunati al centro di Parigi per vandalizzare la capitale francese. Dopo il Covid, in diversi casi gli scioperi sono sfociati in scontri di piazza molto pesanti. Nelle ultime proteste contro la riforma delle pensioni, le scene viste al centro delle più importanti città non sono state così diverse da quelle osservate nelle banlieue.

L’esplosione di violenza in periferia quindi, seguita all’uccisione di un ragazzo di 17 anni ad opera di un poliziotto nel sobborgo di Nanterre, non ha sorpreso più di tanto. Era tutto previsto o, per meglio dire, ben prevedibile. Una mera questione di tempo. L’opinione pubblica francese è rimasta impaurita, ma non sorpresa o sconvolta. Da anni il Paese fa i conti con improvvise esplosioni di violenza. Sulle ragioni ci sarebbe molto da dire, ma per la verità al momento è impossibile trovare una vera matrice. Per le banlieue si può dare un discorso relativo alle rivedibile politiche di “assimilazione” della popolazione di origine straniera, ma alla fine anche in altri quartieri e in altri contesti se la Francia scende in piazza lo fa in modo violento.

Forse è il segno di un malessere più generale del Paese, con cause da ricercare nella diseguaglianza economica e nello scontro politico sempre molto acceso. Ma, come detto, è difficile offrire ad oggi una valutazione complessiva sui motivi di così tanta rabbia. Si può solo osservare come la Francia si sta quasi abituando a scenari del genere. E non è un buon segno, né per Parigi e né per l’Europa.