L’emergenza della solitudine

Anni fa, parlando con una mia amica psicoterapeuta, c’è una frase che ho ascoltato e che non ho mai dimenticato: “La malattia del secolo è la solitudine”. In un primo momento non ho capito il significato di quelle parole. Pensavo a un frase dal sapore “tecnico”, a un riferimento al percorso di studi della mia amica professionista.

Con il passare del tempo, ho dato sempre più credito a questa affermazione. E oggi, in questo primo editoriale post ferie, voglio soffermarmi per un attimo su questo concetto. Perché più si va avanti e più personalmente mi rendo conto che se la fame è stato il vero pericolo per i nostri nonni, la solitudine è la “fame” del XXI secolo.

Il patire la fame ha forgiato la generazione uscita dalla guerra, il patire la solitudine sta incidendo molto sulle ultime generazioni. Quelle cresciute durante il boom economico, ma soprattutto quelle cresciute dopo gli anni ’80.

Si è iniziato a consumare molto, a pretendere tanto, a tralasciare affetti a favore di aspettative di vario genere. E oggi un po’ tutti siamo alla ricerca di un qualcosa difficile da trovare. E come durante gli anni della guerra ci si accontentava di qualsiasi alimento passasse da sotto il naso, oggi ci si accontenta di qualsiasi rapporto piombi all’interno delle nostre vite. Con il risultato di vivere dentro una bolla, di un’esistenza virtuale ben distante da quella reale.

Non scrivo questo per lanciare l’ennesimo anatema contro la società. Sia perché il sottoscritto non ha titolo per farlo e sia perché gettare fango su ciò che già è indifendibile è lo sport principale di chi ha poco da dire. E poi, a dirla tutta, questa società non ha nulla di meno di quelle che l’hanno preceduta. Al massimo, ha solo qualche problema in più.

Ad ogni modo, accorgersi della malattia del secolo vuol dire un giorno provare a cercare anche delle soluzioni politiche ai drammi di oggi. Perché il dramma della solitudine nel lungo periodo avrà costi sociali molto elevati. Vorrà significare una o più generazioni in preda all’ansia, in preda alla difficoltà di rapportarsi e dunque incapaci di portare avanti la società del futuro. E incapaci di affrontare tutte quelle sfide che un mondo più complicato, come quello di oggi, richiederà.